Dizionario etimologico del dialetto di Noci
€13.00
Autore |
Mario Gabriele |
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Lingua |
italiano, dialetto |
Finito di stampare |
maggio 2014 |
Numero Pagine |
336 |
ISBN |
978-88-909831-0-8 |
Disponibile
Il verbo nocese “scerrè”, dimenticare, e dal latino “ex errare” sbagliare. Sbagliare, sempre in nocese, e tradotto con l’espressione “pegghjè na ciambechète” ovvero inciampare, trovare un ostacolo, mettere il piede in fallo, cadere. “Errare” e anche vagare, andare di qua e di là senza meta, allontanarsi dal retto sentiero, ingannarsi. Da “scerrè” si ha “u scirre” e “l’erve du scirre”, l’erba dell’oblio. L’immaginaria erba di bosco che priva di memoria e orientamento chi la tocca costringendolo a vagare, errare, smarrire la strada del ritorno. Dimenticare, pertanto, induce a sbagliare, inciampare, errare, ingannarsi, smarrirsi. D’altra parte il latino “dementare”, dimenticare, altro non e che il separarsi dalla mente, l’uscir di senno. Infatti gli studi sociologici più attenti sul capitalismo odierno segnalano la tendenza alla terribile costruzione della “singolarità assoluta”, in cui ciascuno pretende solo e soltanto il riconoscimento della propria irripetibile individualità, sciolta da qualsiasi legame originario incarnato prima di tutto sulla lingua. In tale condizione la prospettiva a cui si può essere condannati e la “neutralità”, cioè il passaggio dal regno della parola a quello della numerazione e della tecnica in cui non ci sarebbe più posto per l’etica e la cultura intesi come caposaldi di significati condivisi. Nella parola e racchiuso lo specchio più limpido, il calco perfetto dei rapporti e delle relazioni umani, rapporti e relazioni storicamente dati perché nulla muta più velocemente se non la lingua. Quest’ottica ha sorretto la stesura di un “dizionario”, inteso anche come premessa allo studio di un particolare periodo storico di un luogo, precisamente quello che spazia tra gli anni trenta e sessanta del Novecento. Memoria, condizioni, relazioni, visioni del mondo sono riflesse e calcate nelle parole. Se a caso si dice “ssarte”, “omme de fore”, “fèfe a punnidde”, “lupidde” si spalancano porte che possono aiutare, con accumulo di memoria, a fuoruscire da quella che, a iniziare dal 1991, e detta l’epoca dell’eterno presente, della pietrificazione del tempo, della fine della storia e immaginare un nuovo cammino, una ripresa del tempo e della storia.